La diffida accertativa dell’Ispettorato del lavoro, ove non opposta oppure confermata dal Comitato regionale, è un atto di natura amministrativa, idoneo ad acquisire valore di titolo esecutivo senza determinare, tuttavia, il passaggio in giudicato dell’accertamento in essa contenuto, sempre contestabile.
Lo ha affermato la Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 23744 del 29.07.2022, secondo la quale la circostanza che la diffida accertativa degli Ispettori del lavoro acquisisca valore di titolo esecutivo, non impedisce alla società datrice di lavoro di promuovere un’azione giudiziale volta a contestare l’accertamento in essa contenuto.
Il fatto trae origine dalla notifica di un atto di precetto effettuata, da parte di un lavoratore, alla società datrice di lavoro, per ottenere delle somme a lui spettanti sulla base di una diffida accertativa dell’Ispettorato del lavoro.
Nel giudizio di opposizione, la Corte d’Appello ha rigettato la domanda del lavoratore, sul presupposto che il dipendente aveva sottoscritto un accordo con il datore di lavoro, in forza del quale, a fronte della ricezione di una somma di denaro pari a 9.000 euro, aveva consapevolmente rinunciato a qualsiasi ulteriore pretesa riconducibile al rapporto di lavoro.
I Giudici di legittimità, nel confermare la pronuncia della Corte di merito, rilevano che la diffida accertativa, ancorché abbia acquisito valore di titolo esecutivo, non impedisce al datore di lavoro di promuovere un’azione giudiziale volta a contestare l’accertamento in essa contenuto.
A tal riguardo, la Suprema Corte ha ricordato che l’art. 12 del D. Lgs. n. 124/2004, applicabile al caso di specie, prevede che laddove le Direzioni del lavoro riscontrino, nell’ambito della loro attività di vigilanza, delle inosservanze alla disciplina contrattuale da cui scaturiscano crediti patrimoniali in favore dei lavoratori, diffidino il datore di lavoro a corrispondere gli importi risultanti dagli accertamenti.
Precisamente, dopo che la diffida è stata notificata al datore di lavoro, questi può, nel termine di trenta giorni, promuovere tentativo di conciliazione presso la Direzione provinciale del lavoro e se, in tale sede, viene raggiunto un accordo, la diffida perde efficacia.
In alternativa, il datore di lavoro può ricorrere in via amministrativa avverso la diffida e, in ogni caso, il mancato ricorso o il rigetto dello stesso comportano che la diffida acquisisca efficacia di titolo esecutivo ma non escludono che l’interessato possa contestare in giudizio l’esistenza del diritto in essa riportato.
Su tali presupposti, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso del lavoratore, confermando la non debenza della somma intimata.
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L’Ispettorato Nazionale del Lavoro (l’”INL”), con la nota n. 1156 del 22 dicembre 2020, ha fornito agli ispettorati territoriali chiarimenti sulla procedura da seguire in caso di istanza di sottoscrizione di un contratto a tempo determinato in forma assistita ai sensi dell’art. 19, comma 3, del D.Lgs. 81/2015. Ciò con particolare riferimento ai casi in cui si deroghi ai requisiti previsti dalla normativa in forza di un «contratto di prossimità» carente del requisito della maggiore rappresentatività.
Il contratto a tempo determinato non può avere una durata complessiva superiore a 24 mesi o a quella più lunga prevista dal CCNL di settore, salvo la possibilità, ai sensi dell’art. 19, comma 3, del D.Lgs. 81/2015, di stipulare un ulteriore contratto della durata di 12 mesi presso l’Ispettorato Territoriale del Lavoro competente.
L’art. 8 del D.L. 138/2011, conv. nella Legge 148/2011, prevede che i contratti collettivi sottoscritti a livello aziendale o territoriale da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale possono realizzare specifiche intese con efficacia nei confronti di tutti i lavoratori interessati. Le intese possono riguardare la regolazione delle materie inerenti all’organizzazione del lavoro e alla produzione con riferimento, tra le altre, ai contratti a termine.
Nella nota in esame viene precisato che l’attività dell’Ispettorato deve limitarsi alla (i) verifica della completezza e correttezza formale del contenuto del contratto a termine, (ii) genuinità del consenso del lavoratore e (iii) sottoscrizione dello stesso. Tuttavia, se si dovessero riscontrare delle violazioni di norme imperative (ad es. la mancanza delle causali giustificatrici), non sarà ammissibile il ricorso alla “procedura assistita”.
Nel caso sottoposto all’INL la deroga ai requisiti previsti dalla normativa sui contratti a termine derivava dalla regolamentazione contenuta in contratti di prossimità stipulati ai sensi dell’art. 8 del D.L. 138/2011 (cov. nella Legge 148/2011).
Al riguardo l’INL ha precisato che se i contratti di prossimità sono stati stipulati in violazione dell’art. 8 – con particolare riferimento ai vincoli di materia di scopo, oltre a quelli imposti dalla Costituzione o, ancora, in relazione al requisito di maggiore rappresentatività comparativa delle organizzazioni firmatarie – essi sono privi di effetti. Pertanto, non sarà possibile stipulare ulteriori contratti a tempo determinato secondo la “procedura assistita” in applicazione di questi contratti di prossimità.
Sul punto poi l’INL ha richiamato le indicazioni fornite con la circolare n. 3/2018 inerenti alle ipotesi di accordi di prossimità stipulati dalle associazioni prive dei requisiti di rappresentatività richiesti dall’art. 8 del D.L. 138/2011.
In particolare, con questa circolare l’INL ha chiarito che i contratti di prossimità sottoscritti da soggetti “non abilitati” non possono produrre effetti derogatori alle disposizioni di legge e alle regolamentazioni previste dai CCNL. In sede di accertamento, il personale ispettivo deve considerare questi contratti inefficaci ed adottare i conseguenti provvedimenti.
Con riferimento ai contratti a tempo determinato, nella stessa circolare l’INL ha affermato che laddove il datore di lavoro abbia applicato una disciplina dettata da un contratto collettivo non stipulato dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative, gli effetti derogatori o di integrazione della disciplina normativa non possono trovare applicazione. Ciò, secondo l’INL, comporta la mancata applicazione degli istituti di flessibilità previsti dal D.Lgs. n. 81/2015 e, a seconda delle ipotesi, anche la “trasformazione” del rapporto di lavoro in rapporto di lavoro a tempo indeterminato.
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L’Ispettorato del Lavoro, con la nota n. 1037 del 26 novembre 2020, è intervenuto in merito agli accertamenti sugli eventuali illeciti a carico del committente nell’appalto “labour intensive”.
L’art. 4 del D.L. 124/2019 (cd “Decreto Fiscale”) ha introdotto nel D.Lgs. 241/1997 il nuovo art. 17bis che pone nuovi obblighi in capo ai committenti di appalti labour intensive.
In particolare, dal 1° gennaio 2020, le imprese committenti sono tenute a richiedere all’impresa appaltatrice o affidataria e alle imprese subappaltatrici, obbligate a rilasciarle, copia delle deleghe di pagamento relative al versamento delle ritenute, trattenute ai lavoratori direttamente impiegati nell’esecuzione dell’opera o del servizio oggetto del contratto. Il versamento delle ritenute è effettuato dall’impresa appaltatrice o affidataria e dall’impresa subappaltatrice, con distinte deleghe per ciascun committente, senza possibilità di compensazione.
La medesima disposizione prevede, in caso di violazione dei succitati obblighi, la sospensione da parte del committente del pagamento dei corrispettivi maturati dall’impresa appaltatrice o affidataria sino a concorrenza del 20% del valore complessivo dell’opera o del servizio “ovvero per un importo pari all’ammontare delle ritenute non versate rispetto ai dati risultanti dalla documentazione trasmessa”.
L’Ispettorato del Lavoro, nella sua nota, richiama la circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 1E del 12 febbraio 2020 in cui si evidenzia che la relazione illustrativa all’art. 4 individua la finalità degli obblighi in questione nella necessità di contrastare il “fenomeno consistente nell’omesso o insufficiente versamento, anche mediante l’indebita compensazione, delle ritenute fiscali sui percettori di redditi di lavoro dipendente e assimilati”. Ciò, attraverso la creazione di sistemi posti a carico del committente di appalti “labour intensive”.
Peraltro, la violazione degli obblighi posti a carico del committente è sanzionata con una somma pecuniaria pari a quella irrogata all’impresa affidataria per la non corretta determinazione ed esecuzione delle ritenute, nonché per il tardivo versamento delle stesse, senza possibilità di compensazione.
Continua l’Ispettorato, nella sua nota, che l’Agenzia delle Entrate ha altresì precisato : “tale somma non è dovuta quando – nonostante il committente non abbia correttamente adempiuto agli obblighi di cui ai commi da 1 a 3 – l’impresa appaltatrice o affidataria o subappaltatrice abbia correttamente assolto gli obblighi cui si fa riferimento, ovvero si sia avvalsa dell’istituto del ravvedimento operoso di cui all’articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, per sanare le violazioni commesse prima della contestazione da parte degli organi preposti al controllo”.
In considerazione di quanto sopra esposto, a parere dell’Ispettorato, gli obblighi di controllo del committente sono diretti esclusivamente a rendere effettivi gli adempimenti di natura fiscale in capo alle imprese affidatarie. Pertanto, la loro violazione non può essere ascritta nel novero delle violazioni in materia di lavoro e legislazione sociale, in relazione alle quali può ritenersi sussistente la competenza dell’Ispettorato stesso.
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L’Ispettorato Nazionale del Lavoro (l’“INL”) ha emanato due note, a breve distanza l’una dall’altra, con le quali ha fornito i primi chiarimenti in merito alle modalità ispettive sui luoghi di lavoro alla luce delle linee guida in materia, condivise nel “Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19” (il “Protocollo”) sottoscritto dalle parti sociali il 14 marzo 2020 (da ultimo, aggiornato lo scorso 24 aprile).
Nota 131 del 10 aprile 2020
La nota n. 131 del 10 aprile 2020 si propone l’obiettivo di ricondurre ad uniformità e coerenza le condotte da tenere sui luoghi di lavoro anche a fronte della sopravvenuta evoluzione del quadro normativo emergenziale di riferimento. Quadro normativo che, giova ricordarlo, ha:
Secondo l’INL l’attività ispettiva si concentrerà principalmente sulle modalità di attuazione, da parte dei datori di lavoro, delle procedure organizzative e gestionali disposte dalle autorità e oggetto del menzionato Protocollo.
E’ stato, altresì, precisato che la professionalità degli ispettori potrà tornare utile anche sotto forma di funzione di agevolazione, mediazione, deflazione e verifica dei processi di utilizzo delle risorse pubbliche dedicate al sostegno di famiglie, lavoratori, imprese e credito, come di quelli di accesso agli ammortizzatori sociali.
Nota 149 del 20 aprile 2020
Con la successiva nota n.149 del 20 aprile 2020, l’INL ha fornito degli ulteriori chiarimenti in merito alle modalità di controllo da parte dei propri ispettori circa il rispetto delle condizioni previste per la prosecuzione delle attività produttive, industriali e commerciali.
La nota prevede che gli Ispettori dovranno effettuare le attività di verifica in stretto raccordo con i competenti servizi delle Aziende Sanitarie Locali, con le quali dovrà avvenire, inoltre, una programmazione previamente concordata contenente le liste di aziende sulle quali orientare i controlli. Ciò viene previsto anche al fine di agevolare la corretta individuazione degli obiettivi da perseguire. Tuttavia, gli ispettori, qualora si trovino in presenza di evidenti violazioni di particolare gravità ed urgenza, tali da imporre verifiche immediate in loco, potranno svolgerle ugualmente anche in assenza del rispetto del sopramenzionato iter.
Oltre a ciò, la nota specifica che per questo tipo di accertamenti, la scelta del personale ispettivo da utilizzare dovrà avvenire prioritariamente su base volontaria e, soprattutto, che lo stesso dovrà essere fornito dei dispositivi di protezione personale atti allo scopo.
Infine, la nota contiene degli allegati quali (i) una” linea delle verifiche sul protocollo anti-contagio”, (ii) un modello di verbale di accesso e verifica, denominato “Covid-19”, (iii) una lista di dispositivi di protezione individuale (DPI), con le relative istruzioni di utilizzo da parte del personale ispettivo e, infine, (iv) una check list con le verifiche da effettuare; si tratta di una sorta di questionario a risposta chiusa (SI/NO) che dovrà essere compilato dall’ispettore.
Sul profilo sanzionatorio viene previsto che gli ispettori, qualora dovessero constatare l’inosservanza di una o più misure prevenzionistiche oggetto del “Protocollo”, non procederanno con la comminazione al datore di lavoro di una sanzione. Essi dovranno trasmettere, alle competenti Prefetture, l’esito degli accertamenti, ovvero del verbale di accesso e della check list compilata, ricapitolando le omissioni e/o le difformità riscontrate per l’adozione degli eventuali provvedimenti di competenza. Sarà quindi poi la Prefettura, sulla base di tale segnalazione, ad adottare eventuali misure, anche di carattere interdittivo, in capo all’azienda.
Il 19 settembre 2019 l’Inps, l’Ispettorato Nazionale del lavoro (“Inl”), Confindustria, Cgil, Cisl e Uil hanno sottoscritto una Convenzione. La Convenzione ha lo scopo di misurare e certificare la reale rappresentatività dei sindacati e, conseguentemente, circostanziare il numero dei Ccnl validi così da contrastare il fenomeno dei contratti pirata. Con la Convenzione viene data piena attuazione al Testo Unico sulla rappresentanza siglato, dalle parti sociali, il 10 gennaio 2014. Secondo quanto previsto dalla Convenzione, sono da considerarsi validi i contratti sottoscritti dai sindacati che detengono il 50% più uno della rappresentatività. Tale percentuale è da intendersi come la media tra i “dati associativi” e i “dati elettorali”. All’Inps viene affidata (i) la rilevazione del “dato associativo”, frutto dell’estrazione dei dati dei lavoratori iscritti ai sindacati e, in collaborazione con l’Inl, (ii) la raccolta del “dato elettorale” ricavabile sulla base dei dati relativi alle rappresentanze nelle aziende. Un’importante novità è rappresentata dalla costituzione di un “Comitato” avente il ruolo di supervisione e garanzia del processo di certificazione. Il Comitato si compone di esponenti delle diverse parti sociali ed è presieduto da un rappresentante inviato dal Minsitero del Lavoro. Per potersi sedere al tavolo delle negoziazioni, le rappresentanze sindacali devono raggiungere la soglia minima di rappresentatività fissata al 5%. La Convenzione ha una durata triennale e, come anticipato dal Presidente dell’Inps, Cigl, Cisl e UIl stanno definendo una Convenzione analoga con le altre organizzazioni datoriali.
L’Ispettorato Nazionale del Lavoro (“INL”), con nota 5398/2019, ha fornito il proprio parere in merito ad una ipotesi di distacco transnazionale di lavoratori, effettuato da un’impresa stabilita in uno Stato della UE in favore di una propria unità produttiva ubicata in Italia.
Caso di specie
Gli ispettori hanno contestato una fattispecie di distacco non autentico, ai sensi dell’art. 3, comma 5, del D.Lgs. 136/2016, nei confronti del medesimo datore di lavoro che assume la veste di soggetto distaccante e soggetto distaccatario.
Gli ispettori pur riscontrando due distinte condotte illecite – distacco dei lavoratori da parte della sede principale dell’impresa ed utilizzo degli stessi da parte della sede italiana della medesima impresa – hanno ascritto le stesse ad un unico soggetto, non potendo individuare due soggetti datoriali distinti.
Normativa di riferimento
L’art. 3, comma 5, del D.Lgs 136/2016 dispone che “nelle ipotesi in cui il distacco non risulti autentico il distaccante e il soggetto che ha utilizzato la prestazione dei lavoratori distaccati sono puniti con la sanzione amministrativa pecuniaria di 50 euro per ogni lavoratore occupato e per ogni giornata di occupazione”.
Risulta così punita tanto la condotta dell’invio in distacco dei lavoratori da parte della impresa distaccante, quanto quella concernente l’utilizzo dei medesimi lavoratori da parte del soggetto distaccatario.
Ci si è posti, pertanto, il problema di valutare se l’unico soggetto – distaccante e distaccatario – dovesse essere condannato alla doppia sanzione, in considerazione della duplice violazione.
Le conclusioni dell’INL
Prima di entrare nel merito del quesito l’INL ha evidenziato che l’unità produttiva di una determinata impresa può considerarsi autonoma sede secondaria, nei confronti della quale contestare illeciti e adottare relativi provvedimenti sanzionatori, solo se costituisce un distinto centro di responsabilità. Ciò si verifica allorquando la sede secondaria/unità produttiva costituisce un mero ufficio di rappresentanza, con funzioni esclusivamente promozionali e pubblicitarie, di raccolta di informazioni, di ricerca scientifica o di mercato, o svolge, ad esempio, un’attività preparatoria all’apertura di una filiale operativa.
In altri termini, a parere dell’INL, la sede secondaria di una compagine aziendale può configurarsi come distinto soggetto giuridico qualora risulti iscritto nel registro delle imprese e identificato in Italia tramite un proprio rappresentante legale.
Nel caso di specie, sempre secondo l’INL, sembrerebbe non riscontrarsi un’alterità tra il soggetto distaccante e l’impresa utilizzatrice, poiché i lavoratori risulterebbero inviati dalla sede principale dell’impresa distaccante estera presso una propria unità produttiva ubicata in Italia, priva di una autonoma
rappresentanza legale e gestita esclusivamente da un preposto nominato dalla medesima sede principale.
In considerazione di quanto sopra esposto nel caso di specie, stante l’appartenenza dell’impresa distaccante e dell’impresa distaccataria alla medesima organizzazione datoriale, trova applicazione una sola sanzione da comminare all’unico soggetto dotato di personalità giuridica, ossia il distaccante.
Il 12 agosto 2018 è entrata in vigore la legge di conversione n. 96/2018 del D.L. n. 87/2018 (c.d. Decreto Dignità), che ha, tra l’altro, reintrodotto all’art. 38 bis del D.Lgs. n. 81/2015, il reato di somministrazione fraudolenta.
Tale reato – previsto già dalla Legge Biagi n. 276/2003 e poi abolito dal Jobs Act – si configura in tutti i casi in cui “la somministrazione di lavoro è posta in essere con la specifica finalità di eludere norme inderogabili di legge o di contratto collettivo applicate al lavoratore”.
L’illecito in questione è punito con l’applicazione, sia per l’utilizzatore sia per il somministratore, della sanzione penale dell’ammenda di 20 euro per ciascun lavoratore coinvolto e per ciascun giorno di somministrazione.
Resta in ogni caso ferma l’applicazione dell’art. 18 del D.Lgs. n. 276/2003 che punisce il solo utilizzatore con la sanzione amministrativa pari ad euro 50 per ogni lavoratore occupato e per ogni giornata di occupazione. La suddetta sanzione non può, in ogni caso, essere inferiore a euro 5.000 né superiore a euro 50.000.
Ciò premesso, l’Ispettorato Nazionale del lavoro (l’“INL”), con circolare n. 3 del giorno 11 febbraio 2019, ha passato in rassegna le varie ipotesi in cui può realizzarsi la somministrazione fraudolenta.
Appalto illecito
Il reato di somministrazione fraudolenta si può realizzare innanzitutto a fronte dell’utilizzo illecito dello schema negoziale dell’appalto.
L’appalto illecito ricorre laddove l’appalto sia stipulato in assenza dei requisiti di cui all’art. 1655 cod. civ., al fine di eludere norme inderogabili di legge o contrattuali (vedasi circolare del Ministero del Lavoro 5/2011).
A fronte di tale illecito, gli ispettori del lavoro sono tenuti all’adozione della prescrizione obbligatoria nei confronti:
Inoltre, nei confronti del committente-utilizzatore fraudolento, può essere adottato il provvedimento di diffida accertativa per le somme maturate dai lavoratori impiegati nell’appalto a titolo di differenze retributive non corrisposte.
Altre ipotesi
Secondo l’INL, il reato di somministrazione fraudolenta può realizzarsi anche al di fuori delle ipotesi dell’appalto illecito. In particolare, può verificarsi:
A titolo esemplificativo, l’INL ha individuato una somministrazione fraudolenta allorquando un datore di lavoro licenzi un proprio dipendente per riutilizzarlo tramite agenzia di somministrazione, violando norme di legge o di contratto collettivo.
Sanzioni
Nelle ipotesi di appalto e distacco illecito, stante la lettera dell’art. 38 bis del D.Lgs. n. 81/2015, troverà applicazione la sanzione amministrativa di cui all’articolo 18 del D.Lgs. n. 276/2003 ed il personale ispettivo dovrà:
L’INL precisa che per la sanzione amministrativa di cui all’art. 18 non è ammessa la procedura di diffida.
Laddove il personale ispettivo riscontri anche la finalità fraudolenta, sarà possibile adottare altresì il provvedimento di diffida accertativa.
Nel caso in cui l’intento fraudolento sia ravvisato in ipotesi di somministrazione conforme alle disposizioni normative troverà applicazione esclusivamente la sanzione di cui all’art. 38 bis del D.Lgs. n. 81/2015 con conseguente adozione della prescrizione obbligatoria e del provvedimento di diffida accertativa nei confronti dell’utilizzatore.
Infine, anche nell’ipotesi di distacco transnazionale “non autentico” troverà applicazione la sanzione dell’art. 38 bis del D.Lgs. n. 81/2015, nella misura in cui il distacco, come talvolta avviene, sia funzionale all’elusione delle disposizioni dell’ordinamento interno e/o del contratto collettivo applicato dal committente italiano.
In particolare, perché si possa configurare la violazione dell’art. 38 bis, non è sufficiente accertare che la condotta abbia prodotto effetti sotto il profilo della applicazione elusiva del regime previdenziale straniero, ma è necessario altresì accertare la violazione degli obblighi delle condizioni di lavoro ed occupazione di cui all’art. 4 del D.Lgs. n. 136/2016.
Regime intertemporale
La dottrina e la giurisprudenza sono concordi nel ritenere la somministrazione fraudolenta un reato permanente, atteso che la condotta risulta caratterizzata da un intento elusivo di norme contrattuali o imperative che trova ragione d’essere in una apprezzabile continuità dell’azione antigiuridica.
Secondo l’INL, la natura permanente dell’illecito comporta che l’offesa al bene giuridico si protrae per tutta la durata della somministrazione fraudolenta, coincidendo la sua consumazione con la cessazione della condotta antigiuridica.
Di conseguenza, alla luce dei principi espressi dall’art. 1 del Codice Penale (“nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente preveduto come reato dalla legge, né con pene che non siano da essa stabilite”) e 2 (“nessuno può essere punito per un fatto che, secondo la legge del tempo in cui fu commesso, non costituiva reato”) nonché dell’orientamento della giurisprudenza, si deve ritenere che, per le condotte di somministrazione fraudolenta che abbiano avuto inizio prima del 12 agosto 2018 e che si siano protratte successivamente a tale data, il reato di cui all’art. 38 bis del D.Lgs. n. 81/2015 si possa configurare solo a decorrere dal 12 agosto 2018, con conseguente commisurazione della relativa sanzione per le sole giornate successive a tale data.
Per il periodo precedente al 12 agosto 2018, resta invece ferma l’applicazione in via esclusiva delle sanzioni di cui all’art. 18 del D.Lgs. n. 276/2003.
Notizie correlate:
L’Ispettorato Nazionale del Lavoro (INL), con nota prot. n. 6316 del 18 luglio 2018, ha fornito il proprio parere in merito alla natura giuridica dell’illecito relativo all’omessa assunzione dei soggetti disabili o appartenenti alle categorie protette di cui all’art. 15, comma 4, Legge n. 68/1999. Secondo l’INL il predetto illecito deve essere configurato come istantaneo ad effetti permanenti. Istantaneo in ragione del fatto che la condotta omissiva si consuma nel momento in cui spira il termine previsto ex lege, senza che il soggetto sul quale grava l’obbligo giuridico di assunzione entro il 60° giorno dall’insorgenza dell’obbligo vi adempia. Permanente, in virtù del protrarsi degli effetti offensivi della condotta così perfezionatasi nel tempo fino a quando la situazione antigiuridica non viene rimossa. Qualificare un illecito come istantaneo comporta una serie di ripercussioni in materia di norma applicabile, in caso di successione di leggi nel tempo. Nei confronti degli illeciti commessi sotto la vigenza della vecchia norma – i cui effetti continuano a prodursi anche dopo l’entrata in vigore, l’8 ottobre 2016, della nuova misura sanzionatoria prevista dall’art. 5, comma 1 lett. b), del D.L. n. 185/2016 – troverà applicazione la sanzione vigente al momento in cui l’illecito si è perfezionato, in ossequio al principio “tempus regit actum”. Anche con riferimento alla decorrenza dei termini di prescrizione bisognerà fare riferimento, al momento in cui la condotta illecita si è consumata.