Nella nota 1091/2024 del 18 giugno u.s., l’Ispettorato Nazionale del Lavoro ha fornito le prime indicazioni operative relative alle novità introdotte dal decreto-legge 19/2024 in tema di regime sanzionatorio in materia di esercizio non autorizzato della somministrazione, appalto e distacco illeciti.

L’art. 29, comma 4, D.L. n. 19/2024 ha, infatti, ripristinato il rilievo penale della somministrazione, dell’appalto e del distacco illeciti, introducendo la pena – alternativa o congiunta – dell’arresto o dell’ammenda nelle ipotesi in cui “la somministrazione di lavoro è posta in essere con la specifica finalità di eludere norme inderogabili di legge o di contratto collettivo applicate al lavoratore”.
L’ispettorato segnala che “in relazione alla corretta determinazione dell’importo delle ammende da applicare in fase di contestazione delle violazioni, occorre tenere in considerazione quanto previsto dall’art. 1, comma 445, lett. d), n. 1, L. 145/2018. […] Tale disposizione è stata modificata solo in parte dal D.L. 19/2024 – con l’aumento dal 20% al 30% degli importi della cosiddetta maxisanzione per lavoro nero – con ciò confermando l’operatività dell’aumento del 20% già previsto nei confronti delle fattispecie di cui all’art. 18 del D.lgs. n. 276/2003”.
Tale maggiorazione dovrà essere applicata anche ai nuovi importi delle ammende previste dal D.L. 19/2024.
A titolo esemplificativo, per l’esercizio non autorizzato dell’attività di somministrazione “punito con la pena dell’arresto fino a un mese o dell’ammenda di euro 60 per ogni lavoratore occupato e per ogni giornata di lavoro” di n. 5 lavoratori x 20 giornate lavorative ciascuno, l’ammenda è così calcolata:
Con le indicazioni operative in commento, l’INL fornisce anche indicazioni in ipotesi di recidiva, per la quale sono previste una serie di maggiorazioni delle sanzioni, nonché in ipotesi di aggravanti in caso di sfruttamento di minori.
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L’Ispettorato del Lavoro, con la nota n. 1037 del 26 novembre 2020, è intervenuto in merito agli accertamenti sugli eventuali illeciti a carico del committente nell’appalto “labour intensive”.
L’art. 4 del D.L. 124/2019 (cd “Decreto Fiscale”) ha introdotto nel D.Lgs. 241/1997 il nuovo art. 17bis che pone nuovi obblighi in capo ai committenti di appalti labour intensive.
In particolare, dal 1° gennaio 2020, le imprese committenti sono tenute a richiedere all’impresa appaltatrice o affidataria e alle imprese subappaltatrici, obbligate a rilasciarle, copia delle deleghe di pagamento relative al versamento delle ritenute, trattenute ai lavoratori direttamente impiegati nell’esecuzione dell’opera o del servizio oggetto del contratto. Il versamento delle ritenute è effettuato dall’impresa appaltatrice o affidataria e dall’impresa subappaltatrice, con distinte deleghe per ciascun committente, senza possibilità di compensazione.
La medesima disposizione prevede, in caso di violazione dei succitati obblighi, la sospensione da parte del committente del pagamento dei corrispettivi maturati dall’impresa appaltatrice o affidataria sino a concorrenza del 20% del valore complessivo dell’opera o del servizio “ovvero per un importo pari all’ammontare delle ritenute non versate rispetto ai dati risultanti dalla documentazione trasmessa”.
L’Ispettorato del Lavoro, nella sua nota, richiama la circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 1E del 12 febbraio 2020 in cui si evidenzia che la relazione illustrativa all’art. 4 individua la finalità degli obblighi in questione nella necessità di contrastare il “fenomeno consistente nell’omesso o insufficiente versamento, anche mediante l’indebita compensazione, delle ritenute fiscali sui percettori di redditi di lavoro dipendente e assimilati”. Ciò, attraverso la creazione di sistemi posti a carico del committente di appalti “labour intensive”.
Peraltro, la violazione degli obblighi posti a carico del committente è sanzionata con una somma pecuniaria pari a quella irrogata all’impresa affidataria per la non corretta determinazione ed esecuzione delle ritenute, nonché per il tardivo versamento delle stesse, senza possibilità di compensazione.
Continua l’Ispettorato, nella sua nota, che l’Agenzia delle Entrate ha altresì precisato : “tale somma non è dovuta quando – nonostante il committente non abbia correttamente adempiuto agli obblighi di cui ai commi da 1 a 3 – l’impresa appaltatrice o affidataria o subappaltatrice abbia correttamente assolto gli obblighi cui si fa riferimento, ovvero si sia avvalsa dell’istituto del ravvedimento operoso di cui all’articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, per sanare le violazioni commesse prima della contestazione da parte degli organi preposti al controllo”.
In considerazione di quanto sopra esposto, a parere dell’Ispettorato, gli obblighi di controllo del committente sono diretti esclusivamente a rendere effettivi gli adempimenti di natura fiscale in capo alle imprese affidatarie. Pertanto, la loro violazione non può essere ascritta nel novero delle violazioni in materia di lavoro e legislazione sociale, in relazione alle quali può ritenersi sussistente la competenza dell’Ispettorato stesso.
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A fronte dell’emergenza pandemica in corso che continua ad interessare tutto il nostro Paese, il Legislatore e il Governo hanno inteso introdurre norme volte alla salvaguardia dei posti di lavoro, consentendo la fruizione delle integrazioni salariali e imponendo il divieto di licenziamento per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’art. 3 L. n. 604/1966 e di licenziamento collettivo ai sensi della L. n. 223/1991, fatta eccezione per le ipotesi che seguono:
Con riguardo alla fattispecie in esame nel presente contributo, è stata introdotta anche un’ulteriore attenuazione rispetto al divieto di licenziamento, che opera a prescindere dai limiti dimensionali del datore di lavoro. La conversione del D.L. n. 18/2020, attraverso la L. n. 27/2020, ha infatti modificato l’art. 46, in tema di sospensione dei licenziamenti secondo cui la sospensione delle procedure collettive di riduzione di personale e quelle dovute a licenziamenti per giustificato motivo oggettivo ex art. 3 della legge n. 604/1966, non si applicano nelle «ipotesi in cui il personale interessato dal recesso, già impiegato nell’appalto, sia riassunto a seguito di subentro di nuovo appaltatore in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro o di clausola del contratto di appalto».
Fonte: versione integrale pubblicata su Guida al lavoro de Il Sole 24 ore.
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 16253 del 29 luglio 2020, si è espressa circa l’applicabilità della tutela reintegratoria c.d. “attenuata” (con ricostituzione del rapporto e risarcimento fino a un massimo di 12 mensilità) nei casi di manifesta insussistenza del fatto posto alla base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
Il caso di specie trae origine dall’impugnazione giudiziale di un lavoratore avverso il licenziamento intimatogli per giustificato motivo oggettivo in relazione alla intervenuta cessazione dell’appalto ove lo stesso era impiegato.
La Corte d’Appello di Roma, adita in sede di reclamo dalla società datrice di lavoro, accoglieva la domanda del lavoratore confermando la decisione di primo grado che aveva dichiarato illegittimo il licenziamento sul presupposto che la società resistente non aveva dimostrato la relazione sussistente fra la perdita dell’appalto e il venir meno della utilità del lavoratore in esubero.
In particolare, il Collegio d’appello ha escluso che la cessazione dell’appalto potesse costituire di per sé un giustificato motivo di licenziamento in assenza della prova del necessario nesso causale tra la ragione organizzativo produttiva posta a base del recesso e la soppressione del posto di lavoro atteso che il dipendente non era addetto esclusivamente né prevalentemente a tale appalto.
Avverso la decisione di merito ricorreva in cassazione la società soccombente, lamentando la erronea applicazione dei commi 4 e 7 dell’art. 18, della L. 300/1970 nella loro attuale formulazione.
La Corte di Cassazione, nel respingere il ricorso presentato dalla società, si è soffermata ad analizzare il discrimine tra l’applicazione della tutela indennitaria prevista dall’art. 18, co. 5 (indennità omnicomprensiva compresa tra un minimo di 12 ed un massimo di 24 mensilità) e la tutela reintegratoria “attenuata” prevista dall’art. 18, co.4 nei casi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, alla luce di quanto disposto dall’art. 18, co. 7 della L. 300/1970.
Quest’ultima previsione, giova ricordarlo, concede al giudice il potere di applicare la disciplina della tutela reintegratoria “attenuata” nei casi in cui accerti “la manifesta insussistenza del fatto posto alla base del licenziamento per g.m.o”.
Secondo la Suprema Corte le intenzioni del legislatore sarebbero da interpretare nel senso di attribuire natura residuale alla tutela reintegratoria fungendo la stessa da eccezione alla regola della tutela indennitaria nei casi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
Tuttavia, continua la Suprema Corte, richiamando una recente pronuncia (Cass. n. 29101 del 11 novembre 2019), in tema di licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo, “la ritenuta mancanza di un nesso causale tra recesso datoriale e motivo addotto a suo fondamento è sussumibile nell’alveo di quella particolare evidenza richiesta per integrare la manifesta insussistenza del fatto che giustifica, ai sensi dell’art. 18, co. 7, L. 300/1970, come modificato dalla l. 92/2012, la tutela reintegratoria attenuata”.
Pertanto, nel caso di specie, la Corte di Cassazione ha osservato che “l’assoluto difetto di collegamento tra la cessazione dell’appalto e l’attività lavorativa svolta dal lavoratore, hanno indotto la Corte ad escludere ictu oculi la sussistenza del nesso di causalità e quindi del fatto costituente giustificato motivo oggettivo di licenziamento”. Tale insussistenza ictu oculi, continua la Corte, si tradurrebbe nella “manifesta insussistenza del fatto proprio in quanto lo stesso appare difettare tout court in modo così evidente da aver correttamente indotto il giudice di secondo grado ad optare per la tutela reintegratoria attenuata di cui al comma 4 dell’art. 18 nel suo combinato disposto con il settimo comma”
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La sentenza in commento giunge ad una conclusione che desta non poche perplessità circa l’annosa incertezza applicativa della tutela reintegratoria nei casi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo giudicati illegittimi. La conclusione a cui giunge la Corte sembrerebbe in un certo senso controversa in quanto dapprima sostiene la natura residuale della tutela reintegratoria rispetto a quella indennitaria per poi invece ricollegare il concetto di manifesta insussistenza del fatto posto alla base del licenziamento (che consente al giudice di applicare la tutela reintegratoria attenuata) a tutti i casi in cui il giudice non ritenga sussistere un nesso causale tra essi.
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Il 13 gennaio 2020, in occasione del Forum dei commercialisti ed esperti contabili tenutosi a Milano, l’Agenzia delle Entrate ha risposto ad alcuni dubbi strettamente connessi alla concreta applicazione del Decreto Fiscale.
Innanzitutto, è stato affermato che rientrano tra i soggetti destinatari della nuova normativa anche le agenzie di lavoro così come disciplinate dal capo I del titolo II d.lgs. 276/2003.
E’ stato, altresì, osservato che l’importo di 200.000 Euro è da intendersi in riferimento all’importo annuo affidato ad una singola impresa. Nell’ipotesi in cui uno stesso committente abbia affidato diverse opere, si deve procedere a sommare la totalità delle opere e dei servizi da lui affidati. Se, su base annua, il risultato porta ad un superamento della soglia in esame, dovrà essere richiesta alle imprese appaltatrici/subappaltatrici/affidatarie copia delle deleghe di pagamento relative al versamento delle ritenute fiscali sulle retribuzioni dei dipendenti direttamente impiegati.
In sostanza, la disciplina descritta, si applica indistintamente a tutte le opere affidate dallo stesso committente.
Il comma 5 dell’art. 4 del Decreto Fiscale prevede un sistema di esenzione dagli obblighi di comunicazione in presenza di determinate condizioni. Dette condizioni, a parere dell’Agenzia delle Entrate, devono sussistere congiuntamente.
Per verificare l’adempimento dell’effettuazione di versamenti nel periodo d’imposta cui si riferiscono le dichiarazioni dei redditi presentate nell’ultimo triennio, si deve tener conto dei versamenti effettuati di importo superiore al 10% rispetto all’ammontare dei ricavi o dei compensi così come risultano dalle dichiarazioni.
L’Agenzia dell’Entrate ha, altresì, osservato che i versamenti da considerare nel conto fiscale, qualora un’impresa si trovi in una condizione di perdita fiscale per la quale (secondo la legge) non è tenuta al versamento dell’imposta, non riguardano soltanto le imposte sui redditi ma anche l’IVA.
Infine, l’Agenzia delle Entrate sostiene che per permettere al committente di verificare l’avvenuto versamento delle ritenute da parte dell’impresa appaltatrice/subappaltatrice/affidatarie, le copie delle deleghe di pagamento relative al versamento delle ritenute fiscali riferibili ad un singolo lavoratore, possono essere cumulative. Al fine di effettuare i controlli imposti, infatti, è sufficiente verificare l’esistenza di una correlazione tra le deleghe di pagamento, che quindi possono riguardare tutti i lavoratori impiegati presso lo stesso committente, e l’elenco dei nominativi di tutti i lavoratori trasmessogli dall’appaltatrice o dalla subappaltatrice.
Quanto sopra è successivo alla risoluzione 108/2019 con cui sempre l’Agenzia dell’Entrate ha chiarito che:
È stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 301 del 24 dicembre 2019 la Legge 157/2019 di conversione, con modificazioni, del D.L. 124/2019 (cd. “Decreto Fiscale”). Pertanto, dal 1° gennaio 2020, le aziende che affidano una o più opere o uno o più servizi di importo complessivo annuo superiore a 200.00 Euro ad una impresa – tramite “un contratto di appalto, subappalto, affidamento a soggetti consorziati o rapporti negoziali comunque denominati caratterizzati da prevalente utilizzo di manodopera presso le sedi di attività del committente con l’utilizzo di beni strumentali di proprietà di quest’ultimo o ad esso riconducibili in qualunque forma” – devono richiedere alla stessa copia delle deleghe di pagamento relative al versamento delle ritenute fiscali per i dipendenti direttamente impiegati nell’esecuzione dell’opera/del servizio. Il versamento delle ritenute è effettuato, con distinte deleghe per ciascun committente, senza possibilità di compensazione. Al fine di consentire al committente il riscontro dell’ammontare complessivo degli importi versati, le imprese, entro i 5 giorni lavorativi successivi alla scadenza del versamento delle ritenute, sono tenute a trasmettergli: (a) le deleghe di pagamento e (b) un elenco nominativo dei dipendenti direttamente impiegati nell’esecuzione dell’opera/servizio nel mese precedente, identificati tramite Codice Fiscale, con il dettaglio delle ore di lavoro prestate da ciascun lavoratore coinvolto, l’ammontare della retribuzione allo stesso corrisposta e il dettaglio delle ritenute fiscali effettuate nel mese precedente, con separata indicazione di quelle relative alla prestazione affidata dal committente. In caso di mancata trasmissione da parte delle imprese o accertato l’omesso o insufficiente versamento delle ritenute, il committente deve sospendere, finché perdura l’inadempimento, il pagamento dei corrispettivi maturati. Ciò sino a concorrenza del 20% del valore complessivo dell’opera/servizio ovvero per un importo pari alle ritenute non versate ma risultanti dalla documentazione trasmessa. Il committente, altresì, è tenuto a darne comunicazione all’Agenzia delle Entrate territorialmente competente entro 90 giorni. Il committente, che non adempie agli obblighi in esame, incorre in una sanzione pari alla sanzione irrogata all’impresa appaltatrice/subappaltatrice. Detti obblighi non trovano applicazione se le imprese hanno comunicato al committente, allegando la relativa certificazione, la sussistenza, nell’ultimo giorno del mese precedente a quello di scadenza, dei seguenti requisiti: (i) siano in attività da almeno 3 anni, in regola con gli obblighi dichiarativi ed abbiano eseguito nel corso dei periodi di imposta cui si riferiscono le dichiarazioni dei redditi presentate nell’ultimo triennio complessivi versamenti registrati nel conto fiscale per un importo non inferiore al 10% dell’ammontare dei ricavi e dei ricavi o compensi risultanti dalle dichiarazioni medesime; (ii) non abbiano iscrizioni a ruolo o accertamenti esecutivi o avvisi di addebito affidati agli agenti della riscossione relativi alle imposte sul reddito, IRAP, ritenute e contributi previdenziali per importi superiori a Euro 50.000, per i quali i termini di pagamenti siano scaduti e siano ancora dovuti pagamenti o non siano in essere provvedimenti di sospensione.
Lo scorso 26 ottobre è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 252, il D.L. 124/2019 recante “Disposizioni urgenti in materia fiscale e per esigenze indifferibili” (cd. Decreto fiscale). Il Decreto, collegato alla Legge di Bilancio 2020, contiene, tra le altre, importanti novità per i committenti nell’ambito dell’appalto e in materia di responsabilità amministrativa degli enti.
Entriamo nel dettaglio
Appalto
L’art. 4 del Decreto fiscale prevede che, a decorrere dal 1° gennaio 2020, le imprese committenti di appalti di servizi o di opere avranno l’obbligo di effettuare il pagamento delle ritenute fiscali operate dalle imprese appaltatrici e subappaltatrici, nel corso della durata dell’appalto, sulle retribuzioni erogate al personale direttamente impiegato nell’appalto.
A tal fine:
Il committente sarà ritenuto dunque responsabile del versamento delle ritenute effettuate dalle imprese appaltatrici e subappaltatrici entro il limite della somma dell’ammontare dei bonifici ricevuti, salvo che abbia omesso di comunicare gli estremi del conto corrente bancario o postale su cui effettuare i versamenti. In tale ipotesi, il decreto prevede una responsabilità totale e piena a carico del committente.
Potranno effettuare direttamente il versamento delle ritenute solo le imprese appaltatrici e subappaltatrici che abbiano i seguenti requisiti (da certificare a cura dell’Agenzia delle Entrate e da comunicare al committente):
L’ambito applicativo della disposizione non si limita al solo contratto di appalto, dovendo, come si legge nella Relazione illustrativa “intendersi ricompresi nella locuzione utilizzata anche i contratti non nominati, o misti, nonché i contratti di subfornitura, logistica, spedizione e trasporto, nei quali oggetto del contratto è comunque l’assunzione di un obbligo di fare da parte dell’impresa appaltatrice”.
Responsabilità amministrativa degli enti
L’art. 39 del Decreto fiscale introduce nel novero dei reati presupposto della responsabilità amministrativa degli enti ex D.lgs. 231/2001 “il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti” (cd. reato tributario, art. 25-quinquedecies), già oggetto di un inasprimento delle pene nei confronti delle persone fisiche. Nell specifico è stato previsto che in caso di commissione, nell’interesse o a vantaggio dell’ente, di questa fattispecie di reato da parte di un soggetto apicale o ad esso sottoposto, si applica all’ente medesimo un una sanzione pecuniaria che può arrivare sino a 500 quote, corrispondenti ad Euro 774.500. Ciò a meno che l’ente non riesca a dimostrare di aver adottato ed efficacemente attuato un Modello di Organizzazione, Gestione e Controllo. Questa novità legislativa troverebbe applicazione dalla data di pubblicazione in Gazzetta della legge di conversione.
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Il Decreto fiscale è ora al vaglio del Parlamento per la sua conversione in legge, dove potrebbero essere apposti dei correttivi al relativo testo.
Il Tribunale di Padova, con la sentenza n. 550 del 16 luglio 2019, ha affrontato il tema della subordinazione imperniata sul concetto di eterodirezione del lavoro alla luce dell’evoluzione tecnologica delineando i criteri di individuazione del datore di lavoro effettivo.
I fatti di causa
Il caso di specie trae origine dal ricorso presentato da quattro dipendenti di una Società Cooperativa appaltatrice della gestione dei servizi di logistica di un magazzino, i quali avevano rivendicato l’accertamento dello svolgimento del rapporto di lavoro direttamente con la società committente. Le mansioni dei ricorrenti erano quelle di “picker”, ossia addetti al prelievo e movimentazione della merce, in relazioni alle quali erano stati inquadrati al primo livello del CCNL Multiservizi.
La richiesta dei dipendenti si fondava sull’assunto per cui (i) tutti i mezzi strumentali e necessari allo svolgimento dell’appalto fossero di proprietà della committente e (ii) le direttive di lavoro fossero impartite direttamente da quest’ultima sia attraverso un terminale mobile di cui i lavoratori disponevano, sia, a voce, tramite un collegamento mediante cuffie e microfono. Tale sistema di controllo permetteva alla società committente di conoscere in tempo reale le operazioni svolte dal singolo e la durata di ciascuna di esse.
I 4 lavoratori eccepivano, altresì, che il lavoro era controllato dal direttore della logistica della società committente e da un suo collaboratore, che richiamavano i lavoratori che non compivano il numero minimo di operazioni orarie richieste.
I lavoratori in questioni rivendicavano l’applicazione del CCNL del terziario, applicato dalla società committente, con inquadramento al 5° livello ovvero l’applicazione del CCNL Multiservizi dell’appaltatrice con inquadramento al 3° livello.
Gli stessi chiedevano, quindi, che, in via principale, venisse accertato lo svolgimento di un rapporto di lavoro direttamente con la committente, con sua condanna al pagamento delle differenze retributive dovute ed, in subordine, che le società convenute venissero condannate alla corresponsione delle differenze retributive in relazione all’inquadramento nel 3 livello del CCNL Multiservizi.
La decisione del Tribunale di Padova
A parere del Tribunale giudicante, il fatto che la società committente fosse nella condizione di trattare i dati dei lavoratori di imprese terze attraverso degli strumenti potenzialmente idonei al controllo a distanza dei lavoratori, costituisce argomento per ritenere che abbia esercitato i poteri del datore di lavoro.
La committente, infatti, esercitava un controllo specifico e puntuale sui responsabili della cooperativa. Questo controllo non si limitava alla predisposizione di direttive generali sull’esecuzione dell’appalto ma prevedeva l’indizione di due riunioni al giorno alla presenza dei lavoratori nonché del responsabile del magazzino. Inoltre, il Giudice ha sottolineato come fosse sospetta la coincidenza temporale tra i richiami che i titolari della cooperativa rivolgevano ai dipendenti e i colloqui che gli stessi intrattenevano con il preposto della committente.
L’organizzazione del lavoro dei “picker”, inoltre, era in tutto automatizzata ed il software attraverso il quale si realizzava tale automazione, era nell’esclusiva disponibilità della committente. Il software registrava le singole operazioni dei lavoratori, associando un codice al nominativo che riconosceva vocalmente.
In buona sostanza, il Tribunale ha ritenuto che il governo complessivo dell’attività aziendale e la direzione del lavoro dei singoli addetti potesse essere intesa come una relazione informatizzata con la committente, lasciando alla cooperativa una funzione residuale di controllo e di intervento para disciplinare, più o meno sollecitato.
Alla luce di quanto sopra, il Tribunale di Padova ha accolto la domanda dei lavoratori, considerandoli dipendenti della committente, condannando quest’ultima (i) al loro inquadramento al 5° livello del CCNL del Terziario, (ii) alla corresponsione a ciascuno dei essi delle relative differenze retributive nonché (iii) al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dovuti sulla base di tale rapporto.